Uso del contratto nella promozione del processo terapeutico
L’Analisi Transazionale si propone, da un punto di vista metodologico, come una Terapia Contrattuale in quanto considera la stipulazione del contratto come un presupposto di base per intraprendere un percorso di cambiamento. L’approccio contrattuale permette di considerare ogni individuo responsabile nel impegnarsi nel raggiungimento di obiettivi definiti e capace di autodeterminarsi e di poter modificare le decisioni assunte. Questa concezione di base e la conseguente stipulazione del contratto, inteso come “un esplicito impegno bilaterale per un ben definito corso di azione” (Berne, 1966, 263), prevedono e promuovono l’attivazione del cliente verso ciò che desidera, con la focalizzazione del lavoro su singoli aspetti ben circoscritti.
Trovo molto efficace l’impostazione contrattuale perché responsabilizza e stimola il paziente in modo attivo. Nel contratto il cliente sperimenta, fin dall’inizio, la “pragmaticità” del processo terapeutico, esorcizzando quell’immaginario di terapia passiva nel quale egli possa venire analizzato e ridefinito dal terapeuta. Inoltre, spesso i clienti vivono la terapia come uno spazio e un luogo in cui lamentarsi di quello che non va bene, senza di fatto sapere cosa vogliono realmente di diverso e di conseguenza senza impegnarsi per avere quel qualcosa di diverso. Penso che quest’esperienza sia ancor più comune nel contesto pubblico, ambito nel quale mi sono trovato a collaborare negli anni passati, che per natura è povero di un importante aspetto contrattuale quale la remunerazione valida (Steiner, 1969), che rappresenta a mio parere un importante indice di motivazione.
Utilizzare un approccio contrattuale ha quindi diversi vantaggi, quali fornire al paziente una maggiore chiarezza circa la terapia, permettere di parlare un linguaggio chiaro e comune e stabilire in modo esplicito la direzione del lavoro terapeutico, stimolando l’Adulto del paziente che viene visto come co-responsabile e alleato del terapeuta nell’affrontare il problema e il cambiamento che vuole raggiungere. In più il contratto ha anche il vantaggio di orientare il lavoro terapeutico verso obiettivi definiti, anche se rinnovabili, e di contenere i rischi analisi interminabili.
In linea con Novellino (1998) quando parlo di contratto ritengo opportuno fare una distinzione tra contenuto e processo.
Come contenuto il contratto è classicamente l’accordo tra paziente e terapeuta su mete e modi della terapia: questo comprende sia gli obiettivi (contratto terapeutico) che le regole del rapporto. Con il paziente discuto e mi accordo sulle mete realistiche da raggiungere che emergono da un’iniziale analisi dei problemi da lui presentati e dalle possibilità che offre il mio metodo di lavoro, infine chiarisco le modalità del rapporto professionale.
Come processo, invece, il contratto si riferisce allo stabilirsi di una relazione che prevede, per tutta la durata del lavoro, una disponibilità a rivedere e a verificare lo stato della terapia. Il paziente viene quindi responsabilizzato dall’inizio a porsi come controparte attiva del terapeuta, il cui compito non è quello di risolvere i problemi del paziente, bensì aiutarlo a capire come si blocca dal risolverli autonomamente.
Rispetto agli aspetti puramente tecnici, nella pratica clinica i concetti ai quali faccio principalmente riferimento per la formulazione del contratto, sono quelli proposti da Steiner (1969). L’autore sottolinea quattro componenti principali che definisce criteri di validità di un contratto: il mutuo consenso con il quale mi accordo esplicitamente su mete e modi della psicoterapia; la considerazione valida (o remunerazione valida precedentemente citata) utile ad esprimere il riconoscimento della natura professionale della relazione terapeutica; la competenza, da parte mia come terapeuta relativamente alle mie capacità professionali e da parte dell’utente rispetto alle risorse che investe in un lavoro che mira al cambiamento; l’oggetto legale, che riferisce al fatto che mete e modi della terapia e definizione del contratto rispettino i criteri legali, etici e deontologici.
Berne parla di “Livello Amministrativo e Professionale” come elementi da considerare per ritenere un contratto valido, in quanto permette la definizione di regole condivise rispetto al setting. Nello specifico il livello amministrativo si esplica attraverso la comprensione delle ragioni e degli scopi e gli obiettivi dell’amministrazione, mentre il livello professionale si riferisce all’obiettivo professionale di terapia che sarà espresso in termini psichiatrici, quali la guarigione, la riorganizzazione, il controllo sociale e il ri-orientamento (Berne, 1966, 22). Berne considera anche il “livello psicologico” che, invece, fa riferimento alla dimensione ulteriore della relazione e sottolinea l’importanza del porre attenzione agli aspetti più inconsapevoli e manipolativi che il cliente usa per portare avanti il proprio copione anziché scegliere modalità di comportamento alternative.
Secondo la Loomis (1979), vi sono quattro livelli di contratto:
1. contatti di cura che consistono nel prendersi cura piuttosto che guarire la persona;
2. contratti di controllo sociale che si occupano principalmente della correzione del temporaneo squilibrio di un aspetto della vita del cliente;
3. contratti di relazione, l’approccio generale è quello della terapia breve in cui avviene una ristrutturazione cognitiva e di ridecisione;
4. cambiamento strutturale, che riguarda la ristrutturazione di personalità e tende a contrastare le decisioni di copione fondate sui modelli genitoriali persistenti.
Ritroviamo poi nella letteratura classica svariate tipologie di contratto: contratti soffici il cui obiettivo è di tipo cognitivo ed i contratti duri, con finalità di cambiamento comportamentale verificabile (Woolams e Brown, 1978); contratti di controllo sociale che mirano ad una specifica area rispetto alla quale terapeuta e paziente si propongono un recupero dell’energizzazione dell’Adulto, e contratti di autonomia per un recupero delle capacità di consapevolezza, spontaneità ed intimità descritte da Berne come funzioni di un Adulto integrato (Holloway 1977); contratti di chiusura delle vie d’uscita dal copione, tesi a concordare con l’Adulto del paziente l’evitamento di scelte drammatiche quali il suicidio, l’omicidio, la follia (Holloway 1977; Goulding 1979); contratti a tre mani che includono l’impegno di una terza persona (English, 1992).
I Goulding (1979) sottolineano come non tutti i contratti siano accettabili, citando tra questi i contratti Genitoriali basati sul “dovrei”, quelli in cui il cliente si aspetta il cambiamento di qualcun altro, e quelli che sottintendono un livello ulteriore e quindi un gioco psicologico.
Mi avvalgo della tecnica del contratto proposta da Holloway (1977) che prevede la focalizzazione di quattro aree da definire nel paziente con l’aiuto del terapeuta. Nella prima area vanno chiariti i problemi che il paziente vuole affrontare all’inizio della terapia; nella seconda vengono definite le mete che si vogliono raggiungere; successivamente, nella terza area, si fissano i cambiamenti che il paziente deve effettuare per raggiungere tali mete; per concludere, nella quarta area, si ipotizzano gli ostacoli che possono frapporsi durante il proseguimento della terapia.
Infine, nel mio lavoro trovo molto utili l’utilizzo di domande specifiche nella stipulazione del contratto: “C’è qualcosa che desidera e che migliorerebbe nella sua vita?”, “Che cosa dovrebbe cambiare per ottenere ciò che vuole”, “Che cosa sarebbe disposto/a a fare per mettere in atto il suo cambiamento?”, “Le altre persone come farebbero a sapere che c’è stato un cambiamento?”, “Come potrebbe sabotare se stesso/a?”. Questi sono esempi di domande, proposte dalla James (1977), adatte nel consentire lo stabilirsi di un rapporto A-A con il cliente, chiarire la sua richiesta, valutare le risorse a disposizione e la tipologia di feedback che ci si potrebbe aspettare ed individuare e prevenire i giochi che il cliente potrebbe mettere in atto per minare il proprio percorso terapeutico.